mercoledì 29 giugno 2011

Pablo Neruda - Ti ricordo come eri

Pablo Neruda - Ti ricordo come eri: "

Ti ricordo come eri nell'ultimo autunno.

Eri il berretto grigio e il cuore in calma.

Nei tuoi occhi lottavano le fiamme del crepuscolo.

E le foglie cadevano nell'acqua della tua anima.


Stretta alle mie braccia come un rampicante,

le foglie raccoglievano la tua voce lenta e in calma.

Fuoco di stupore in cui la mia sete ardeva.

Dolce giacinto azzurro attorto alla mia anima.


Sento viaggiare i tuoi occhi ed è distante l'autunno:

berretto grigio, voce d'uccello e cuore di casa

verso cui emigravano i miei profondi aneliti

e cadevano i miei baci allegri come brace.

Cielo da un naviglio. Campo dalle colline:

il tuo ricordo è di luce, di fumo, di stagno in calma!

Oltre i tuoi occhi ardevano i crepuscoli.

Foglie secche d'autunno giravano nella tua anima


Pablo Neruda


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Erich Fried - Soltanto non sarebbe

23/mag/2011
Erich Fried - Soltanto non sarebbe da Blog Esprimendosi di M.D.A.

 
La vita
sarebbe
forse più facile
se io
non ti avessi mai incontrata.
Meno tristezza
ogni volta
che dobbiamo separarci
meno paura
della prossima separazione
e di quella che ancora verrà.
E anche poco
di quella nostalgia impotente
che quando non ci sei
vuole l'impossibile
e subito
fra un istante
e che poi
poiché non è possibile
resta turbata
e respira a fatica.
La vita
sarebbe forse
più facile
se io
non ti avessi incontrata.
Soltanto non sarebbe
la mia vita.

Erich Fried

Poesia di Trilussa - Attila

Poesia di Trilussa - Attila:
                                              "Attila, er Re più berbero e feroce,
strillava sempre: - Dove passo io
nun nasce più nemmeno un filo d'erba:
so' er Fraggello d'Iddio!-
Ma, a l'amichi, diceva: - Devo insiste
su l'affare dell'erba perché spesso
me so' venuti, doppo le conquiste,
troppi somari a presso

Trilussa"

Fonte: Blog

Erich Fried - Come ti si dovrebbe baciare

Erich Fried - Come ti si dovrebbe baciare: "
Quando ti bacio
non è solo la tua bocca

non è solo il tuo ombellico
...non è solo il tuo grembo
che bacio
Io bacio anche le tue domande
e i tuoi desideri
bacio il tuo riflettere
i tuoi dubbi
e il tuo coraggio
il tuo amore per me
e la tua libertà da me
il tuo piede
che è giunto qui
e che di nuovo se ne va
io bacio te
così come sei
e come sarai
domani e oltre
e quando il mio tempo sarà trascorso
Erich Fried




"

domenica 5 giugno 2011

Quanto ci manca il conte Cavour - Il Sole 24 ORE

Quanto ci manca il conte Cavour - Il Sole 24 ORE


Questo articolo è stato pubblicato il 05 giugno 2011 alle ore 08:13.

Il successo, anche popolare, della parata del 2 giugno ha confermato una partecipazione al centocinquantenario dell'Unità d'Italia sulla quale pochi (anche nella maggioranza di centro-destra) avrebbero scommesso prima del 17 marzo. Forse, proprio questo ritrovato e diffuso (soprattutto nel Centro-Nord) senso dell'unità di patria contribuisce a spiegare perché la Lega non abbia sfondato, nonostante le aspettative, fuori dai suoi tradizionali recinti geografici, sociali e culturali.
Domani cade un altro appuntamento importante nella memoria nazionale, ossia il centocinquantenario della morte dell'artefice dell'Unità, il conte di Cavour, forse rimasto un po' più in disparte del dovuto in questo anno di efficace recupero della tradizione unitaria e risorgimentale. I torinesi che nel 1861 tributarono al loro primo ministro esequie degne di un sovrano avevano colto con precisione il trauma di una missione rimasta incompiuta: non l'unità, ma l'unificazione effettiva di una nazione sulla scorta dei presupposti liberali e democratici ai quali Cavour non aveva mai rinunciato.
Con la morte del Conte, scrisse Piero Gobetti, «la rivoluzione veniva a trovarsi senza contenuto e senza guida». E aggiungeva profeticamente lo stesso: «Il problema di Cattaneo ridiventava predominante». Insomma, Cavour lasciava incompiuto il processo di costruzione dello stato unitario, col quale ancora facciamo i conti in questi mesi, quando discutiamo di un assetto federale che allora sarebbe stato impossibile da realizzare (se non al prezzo di consegnare l'Italia al Papa-Re).
Cavour, è noto, non era federalista, ma non è affatto detto che l'alternativa, per lui, fosse il centralismo più spietato: del resto, fu proprio uno dei suoi eredi più devoti, Marco Minghetti, a immaginare uno sfortunato disegno di decentramento che la destra storica respinse perché spaventata dal brigantaggio meridionale.
Ma Cavour, oggi, è attuale non per l'esito che non ebbe il tempo di concludere, bensì per il disegno che ebbe il coraggio di delineare e che troppo spesso la cultura nazionale è portata a trascurare: l'unità della nazione, certo; ma soprattutto il consolidamento di un regime liberale (e, per l'epoca, democratico) che assunse il significato di un'autentica rivoluzione culturale. L'Italia unitaria come l'aveva voluta Cavour poté entrare a testa alta nel gruppo, assai limitato, degli stati di diritto, tutelati da una Carta costituzionale che tutti gli stati preunitari avevano stracciato dopo la fiammata del 1848. E questo grazie a Cavour e a una ristretta classe intellettuale che si erano opposti a qualunque revanscismo reazionario, fosse pure coperto dall'avallo autorevole della Corona.
Cavour non fu, come spesso lo si dipinge, un semplice manovale della realtà, pronto ad approfittare delle circostanze fortunate che gli si presentavano; fu l'artefice ostinato delle fortune proprie e del proprio Paese. E lo dimostrò, prima ancora che con l'operato da politico, con quello da imprenditore, da intellettuale e da giornalista. Cavour non avrebbe mai creduto nella "fine della storia", e anzi parlava della storia come di «una grande improvvisatrice». «In cospetto di tanta incertezza» si rifiutava di rimanere «sbigottito e sfiduciato» ma scendeva in campo, con l'azione e col pensiero, per fare opinione pubblica e trasformare la realtà. Era un liberale e un innovatore: nei suoi campi prima ancora che nelle aule parlamentari. Era, insomma, un riformista, come ha efficacemente ricordato pochi giorni fa Mario Draghi nelle sue Considerazioni finali; e proprio perché riformista, comprendeva l'esigenza di costruire consenso e vincere la battaglia delle idee.
Il socialismo non lo terrorizzava, ma lo metteva in guardia contro i rischi della reazione: con linguaggio ottocentesco e patrizio parlava di «carità legale», ma aveva in mente un sistema efficace di welfare che riconoscesse «quale uno stretto dovere sociale il non lasciare nessun individuo esposto a cadere vittima delle estreme miserie». «Pronto a combattere tutto ciò che potrebbe sconvolgere l'ordine sociale, (dichiarava) però considerare come stretto dovere della società il consacrare parte delle ricchezze che si vanno accumulando col progredire del tempo al miglioramento delle condizioni materiali e morali delle classi inferiori». E additava perciò l'esempio dell'amata Inghilterra che aveva saputo reagire alla prostrazione economica che assumeva aspetti di autentico degrado morale di quelle classi operaie che ne avevano assicurato l'impetuoso sviluppo economico.
Fiducioso nella libertà, diffidava dell'intervento pubblico e combatteva le barriere doganali, anzi vedeva nel protezionismo proprio «la pietra angolare sulla quale il socialismo innalza le batterie colle quali intende abbattere l'antico ordine sociale». E non temeva perciò di rifiutare protezioni alle industrie decotte.
Ce n'è abbastanza per comprendere come mai in un'Italia vischiosa e neo-corporativa Cavour sia più rispettato che apprezzato, più conosciuto che condiviso. Eppure stanno proprio nella sua eredità molti tra i momenti più alti dello sviluppo sociale, economico e politico del nostro Paese, in una linea di riformismo liberale che attraverso Giolitti e Einaudi arriva fino ai nostri giorni. Ricordare Cavour è l'occasione per rivendicare l'attualità e la vitalità di quella tradizione, ancora orfana di eredi politici.
salvatore.carrubba@ilsole24ore.com
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venerdì 3 giugno 2011

Da Galileo a Fermi - una storia italiana di Innovazione - An Italian History of Innovation


In occasione della Festa della Repubblica per l’Anniversario dei 150 anni dell’Unità d’Italia segnaliamo la  mostra “An Italian History of Innovation”. Nella mostra, il racconto di alcune delle tappe fondamentali della straordinaria storia di evoluzione del pensiero scientifico in Italia, da Galileo a oggi, è testimoniato da oggetti storici, riproduzioni di strumenti, ricostruzioni di macchine e parti di moderni rivelatori di particelle. Si trovano esposti strumenti originali risalenti al gruppo di Via Panisperna guidato da Enrico Fermi, il pioniere della fisica nucleare, un modello in scala reale del primo collisore al mondo di tipo materia-antimateria, la riproduzione d’inizio secolo della pila di Volta, la ricostruzione di alcune macchine di Galileo - tra le quali pendoli per lo studio degli urti, un piano inclinato di 6 metri, una bilancia ad acqua - e parti dei rivelatori usati al Cern nel recente passato.

Se nel ‘600 Galileo Galilei impone un nuovo modo di conoscere la natura aprendo la strada alla scienza moderna, all’inizio del ‘900 le ricerche sul nucleo atomico di Enrico Fermi getteranno le basi della fisica delle particelle elementari. Con la nascita dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) nel 1951, erede della scuola di fisica fondata da Fermi, si costituisce in Italia una comunità di scienziati unica per ricchezza di inventiva, capace di esportare idee e metodo in tutto il mondo. Lo stesso potenziale di innovazione caratterizzerà in quegli anni la nascita a Ginevra del laboratorio europeo di fisica delle particelle, il CERN, alla cui fondazione e successivo sviluppo l’Italia ha dato un forte contributo. Nel corso della storia italiana, alla vitalità degli scienziati si accompagna sempre un dinamismo di settori contigui come l’industria e il design.