giovedì 22 dicembre 2011

Berlinguer e LA QUESTIONE MORALE. 1981.


Quando Napolitano attaccò Berlinguer sulla Questione Morale

Quel giorno Napolitano si trova in Sicilia, e la sua prima reazione è di telefonare al suo compagno e amico Gerardo Chiaromonte: “Eravamo entrambi sbigottiti – ricorda Napolitano – perché in quella clamorosa esternazione di Berlinguer coglievamo un’esasperazione pericolosa come non mai, una sorta di rinuncia a fare politica visto che non riconoscevamo più alcun interlocutore valido e negavamo che gli altri partiti, ridotti a ‘macchine di potere e di clientela’, esprimessero posizioni e programmi con cui potessimo e dovessimo confrontarci”. Napolitano decide di dare una risposta pubblica a Berlinguer, ma solamente un mese più tardi, approfittando dell’anniversario della morte di Togliatti.
La risposta di Napolitano, dunque, esce sull’Unità del 21 agosto. Il leader della destra migliorista, per attaccare Berlinguer, usa appunto la lezione di Togliatti all’epoca della nascita del centrosinistra tra Dc e Psi negli anni Sessanta: “’Saper scendere e muoversi sul terreno riformistico’ anziché pretendere di combattere il riformismo con ‘pure contrapposizioni verbali’ o ‘vuote invettive’”. Per Napolitano, gli scandali e la corruzione della Dc di Antonio Gava e Salvo Lima o del Psi di Bettino Craxi non sono un ostacolo al riformismo dialogante. È la stessa logica con cui anni più tardi, da esponente del Pds e poi dei Ds, propugna la linea dell’inciucio e della collaborazione sulle riforme con il berlusconismo del Caimano, fatto anche dai vari Previti e Dell’Utri.
Le reazioni all’articolo di Napolitano arrivano nella direzione del Pci del 10 settembre, dopo la pausa estiva. “Nella relazione introduttiva – racconta il Capo dello Stato – mi si accusò di aver favorito, con l’espressione di dissensi ‘ cifrati’, la campagna avversaria su una contrapposizione nel gruppo dirigente del partito e l’attacco al suo segretario, di avere impoverito e forzato il pensiero di Togliatti, di avere indicato il terreno riformistico quando di riformistico non c’era più nulla nel Psi”. Con Napolitano si schierano Bufalini, il sindaco di Roma Luigi Petroselli, Chiaro-monte. Per i miglioristi inizia a maturare l’infamante etichetta non solo di essere platealmente filosocialisti, ma soprattutto filocraxiani: una specie di male assoluto. Ma la sponda del Psi, per Napolitano, non è proprio solida.
Ne è la prova, dieci giorni dopo, il 19 settembre, la positiva ma sarcastica intervista di Claudio Martelli, vicesegretario del Psi di Craxi, al settimanale l’Espresso. I difetti dell’indole di Napolitano sono analizzati alla perfezione: “Napolitano è l’uomo dell’eurocomunismo, del dialogo con la Dc, poi con il capitalismo illuminato, poi col Psi. Se egli – diceva Martelli – sia una sorta di ‘passator cortese’ del comunismo italiano o la punta di iceberg di elettori, quadri, amministratori, sindacalisti comunisti in transizione verso la socialdemocrazia europea è quanto cercheremo di capire con tutta la simpatia che merita chi porge la mano aperta e non il pugno chiuso”. Sempre nel 1981, l’ossessione di Napolitano per il dramma della sinistra divisa si trasferisce da Botteghe Oscure a Montecitorio: lascia l’organizzazione del partito e viene eletto capogruppo del Pci alla Camera. Viene sospettato, ancora una volta, di favorire i socialisti. In un articolo sull’Unità del 4 gennaio 1984 si difende: “La funzione di una grande forza nazionale come la nostra non può di norma consistere nel non far passare i provvedimenti del governo, per quanto da noi negativamente giudicati; non può essere questo il modo di far valere il nostro potere contrattuale”.
La questione diventa devastante con il decreto legge per la riforma della scala mobile: Napolitano lavora per migliorarlo, ma il 7 giugno il suo amico Chiaromonte, che è capogruppo al Senato, annuncia il ricorso al referendum (che nel 1985 il Pci perderà).
Quella sera Berlinguer parla in un comizio a Padova e si sente male. Muore quattro giorni dopo. Ricorda Emanuele Macaluso sul Riformista nel 2005: “Napolitano allora era capogruppo alla Camera e con Formica, capogruppo dei socialisti, aveva trovato un’intesa per rendere il testo accettabile anche per i comunisti. Intesa che poi venne mandata all’aria da entrambe le parti. Ma in quel momento Berlinguer comincia a vedere di cattivo occhio sia Napolitano sia Nilde Iotti, allora presidente della Camera. A Nilde Iotti sembra rimproverare di tutelare più il governo che il suo partito, mentre su Napolitano pesa il sospetto di morbidezza per via della sua nota contrarietà alla linea scelta in quella fase dal Pci, durante la dura battaglia parlamentare che precedette il referendum. Da lì in avanti i rapporti si inasprirono a tal punto che quando Berlinguer morì Napolitano aveva già in tasca la lettera di dimissioni da capogruppo. Una lettera mai recapitata, in quel funesto 7 giugno 1984".

dal libro ”Re Giorgio” di Fabrizio d’Esposito


http://www.enricoberlinguer.it/qualcosadisinistra/?p=6392


domenica 11 dicembre 2011

Islanda. Dove i banchieri della crisi vengono arrestati.


Islanda, dove i banchieri della crisi vengono arrestati!
REYKJAVIK - La scorsa settimana in Islanda sono state arrestate nove persone considerate responsabili del crack finanziario che ha coinvolto lo stato islandese nel 2008, portandolo sull'orlo della bancarotta. La rivoluzione pacifica che sta avvenendo in Islanda, e di cui nessuno parla, nasce proprio nel 2008, quando il governo allora in carica decide di nazionalizzare le tre maggiori banche del paese, i cui creditori erano per la maggior parte britannici e nord americani. E quando, per rifondere il debito contratto in questo modo dallo stato che se ne era fatto carico, intervenne il Fondo Monetario Internazionale, chiedendo come al solito tassi d'interesse altissimi e scaricando tutto il peso del debito sulla popolazione, che avrebbe dovuto pagare in 15 anni 3.500 milioni di euro al 5,5% d'interesse, lo stesso popolo islandese si espresse sulla questione con un referendum per cui si verificò una schiacciante vittoria (il 93%) di coloro che ritenevano di non dover pagare il debito. Come anche in Grecia oggi si dice, anche gli islandesi sostenevano che quel debito fosse "detestabile", e dunque non esigibile. Per chiarire, un debito detestabile è un debito contratto dallo stato con le banche o altri istituti, che pero` non porta benefici alla popolazione, ma anzi la danneggia. Un debito simile non si può pretendere che venga pagato dallo stesso popolo che ne ha gia` subito le conseguenze in termini d'interessi sul debito pubblico. Dopo il referendum e` stata istituita nel 2010 una Commissione incaricata di stabilire le responsabilità legali della fatale crisi economica, che ha portato già all'arresto di parecchi banchieri e alti dirigenti strettamente collegati alle operazioni arrischiate. Intanto l'Islanda sta anche scrivendo una nuova costituzione, imparando dalle lezioni della storia recente, nella quale sarà inserito un regime di protezione inattaccabile per la libertà d'informazione e di espressione. Una costituzione, quella islandese, discussa dalla popolazione attraverso i forum in internet e i social network. Finalmente sembra che la gente possa decidere liberamente del proprio futuro, e che i banchieri e gli squali finanziari, per una volta, debbano restare alla finestra a guardare, se non sono già scappati.

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REYKJAVIK - La scorsa settimana in Islanda sono state arrestate nove persone considerate responsabili del crack finanziario che ha coinvolto lo stato islandese nel 2008, portandolo sull'orlo della bancarotta.

domenica 4 dicembre 2011

Cattedrale di Santa Maria - Cagliari


Ivano Paolo Todde ha condiviso la foto di INCANTI DI SARDEGNA.


DUOMO DI CAGLIARI!!! Foto di Lucia Corda. La Cattedrale di Santa Maria di Castello, dedicata alla Vergine Assunta e a santa Cecilia martire, si trova a Cagliari in piazza Palazzo. Duomo del capoluogo regionale sardo, è la chiesa madre dell'arcidiocesi di Cagliari, sede della cattedra dell'arcivescovo metropolita di Ca...gliari; inoltre è la parrocchiale del quartiere storico Castello. La chiesa si presenta come un connubio di diversi stili artistici e custodisce sette secoli di memorie storiche della città di Cagliari. Costruita nel corso del duecento, in stile romanico pisano, venne elevata al rango di Cattedrale nel 1258. Quando Cagliari fu capitale del regno di Sardegna, al suo interno prestavano giuramento i rappresentanti dei tre Stamenti (bracci del parlamento Sardo). Nel corso del seicento e del settecento il tempio fu rinnovato secondo i canoni dello stile barocco. Negli anni trenta del novecento venne innalzata l'attuale facciata in stile neoromanico, ispirata al prospetto del Duomo di Pisa. La Cattedrale, oltre ad essere un importante luogo di culto cattolico, in cui si svolgono le principali celebrazioni dell'anno liturgico presiedute dall'arcivescovo, è uno dei più noti e visitati monumenti di Cagliari. Il primo impianto della chiesa si deve ai pisani, che la costruirono entro le mura della loro roccaforte, il Castel di Castro. Fondata probabilmente già nel 1217 (quando i pisani si insediarono nel colle di Castello), la prima menzione che attesta l'esistenza della chiesa di sancte Marie de Castello risale al 1254[1]. In forme romaniche, questa chiesa originaria aveva pianta rettangolare, divisa in tre navate da colonne, con volta a crociera sulle due navate laterali e copertura in legno della navata centrale ed era dedicata, come la cattedrale di Pisa, a Santa Maria Assunta. Nel 1258[2], dopo la distruzione da parte dei pisani della capitale giudicale Santa Igia e della cattedrale di Santa Cecilia, la chiesa di Santa Maria di Castello fu elevata al rango di cattedrale della diocesi cagliaritana, affiancando il culto a santa Cecilia nell'intitolazione. Agli inizi del XIV secolo venne realizzato il transetto, che rese la pianta della chiesa a forma di croce latina, e le relative due porte laterali. Sulla facciata venne inoltre aperta una bifora gotica e vennero eseguiti interventi sul campanile. Al primo ventennio del XIV secolo si fa risalire la costruzione della prima cappella, in stile gotico italiano, innestata nel braccio sinistro del transetto. Con la conquista di Cagliari da parte degli aragonesi venne completato il transetto destro ed edificate altre cappelle, delle quali solo quella della "Sacra Spina" (detta anche "Cappella Aragonese") è rimasta intatta. Nel 1618 si conclusero i lavori con i quali l'arcivescovo Francisco Desquivel fece rialzare il presbiterio per costruire il Santuario dei Martiri[3]. Il 22 novembre 1669 (giorno della festa di Santa Cecilia) un altro vescovo spagnolo, Pietro Vico, ordinò di rifare gli interni e la facciata in stile Barocco, affidando la direzione dei lavori a Domenico Spotorno[4]. La ristrutturazione, che durò fino al 1704, cancellò quasi completamente la primitiva chiesa romanica: nel 1702 la facciata fu rifatta dall'architetto Pietro Fossati in stile barocco, il pavimento venne sostituito con tarsie marmoree, pilastri calcarei presero il posto delle colonne romaniche, all'incrocio tra la navata centrale ed il transetto venne edificata la cupola e le cappelle gotiche del transetto vennero murate. Al loro posto vennero edificati i monumenti funebri degli arcivescovi Machin e La Cabra. Nei primi anni del Novecento, in seguito al distacco di alcuni elementi marmorei, la facciata barocca fu demolita al termine di una disputa che vide protagonista l'allora soprintendente ai monumenti Dionigi Scano il quale confidava nella speranza di ritrovarvi sotto l'antica facciata romanica[5]. La Cattedrale rimase circa venti anni priva di facciata, finché, nel 1933 venne edificata l'attuale facciata neoromanica in stile pisano utilizzando pietra calcare del colle di Bonaria e frammenti scultorei della chiesa originaria. Il progetto venne attuato su disegno dell'architetto Francesco Giarrizzo. Nel 1999 è stato effettuato un restauro della cupola, del tetto e del campanile. 

venerdì 2 dicembre 2011

Pensioni di Anzianità


Simonetta Landi:
...ormai siamo alla frutta!!!...e tra un pò ci servono il desert!!!

Carlo Lombardi:
il nonno e il nipotino nell'italia del nuovo millennio..

Economia.


foto di Viaggio nel Mondo.

Thomas Jefferson. Banche.


Io credo che le istituzioni bancarie siano più pericolose per le nostre libertà di quanto non lo siano gli eserciti permanenti.
Se il popolo americano permetterà mai alle banche private di controllare l'emissione del denaro, dapprima attraverso l'inflazione e poi con la deflazione, le banche e le compagnie che nasceranno intorno,"alle banche", priveranno il popolo dei suoi beni finché i loro figli si ritroveranno senza neanche una casa sul continente che i loro padri hanno conquistato. 
Thomas Jefferson, terzo presidente degli Stati Uniti d'America
Thomas Jefferson, terzo presidente degli Stati Uniti d'AmericaVisualizza altro

Henry Ford. Sistema Bancario.


E' un bene che il popolo non comprenda il funzionamento del nostro sistema bancario e monetario, perché se accadesse credo che scoppierebbe una rivoluzione prima di domani mattina.
Henry Ford

Terrorismo di Stato.


 foto di Viaggio nel Mondo.

Bertolt Brecht. Banche


Bertolt Brecht
Il vero ladro non e' chi rapina una banca,
ma chi la fonda.

Philippe Daverio. Passepartout (Rai Tre)

Philippe Daverio, gallerista, editore, storico dell'arte e conduttore dal 2001 di Passepartout (Rai Tre), il 21 settembre scorso ha annunciato l'incredibile cancellazione dai palinsesti Rai del suo decennale programma di informazione culturale nonostante gli ottimi ascolti e nove stagioni di consolidato successo.