Il rapporto dello scrittore col mondo del lavoro offre spunti interessanti per dimostrare quanto faticosa fosse la doppia vita di Kafka, scrittore e impiegato, e soprattutto come dal lavoro Kafka avesse tratto gran parte della sua conoscenza della vita. Il lavoro come obbligo, gerarchia, formalismo, seguiva un'attività scolastica dominata dalla figura autoritaria del padre, il commerciante Hermann Kafka, che voleva per il figlio, céco ed ebreo, il massimo possibile d'integrazione con la minoranza tedesca in Boemia che, sostenuta da Vienna, dominava le attività economiche del paese.
Per volere del padre, Kafka aveva frequentato il ginnasio tedesco di Stato, nella città vecchia di Praga, che era uno dei tipici ginnasi umanistici in lingua tedesca dai quali la monarchia asburgica traeva i funzionari e i professionisti: per il padre, l'iscrizione del figlio a quella scuola costituiva una manifestazione di distacco dall'etnia céca e dalla religione ebraica.
Dopo otto anni, Franz Kafka diede l'esame di maturità nel luglio del 1901. Prima dell'esame aveva pensato d'iscriversi alla facoltà di lettere, ma il padre, sempre vigile e autoritario, l'aveva dissuaso. Cominciò così una carriera universitaria indecisa e fluttuante. Prima iniziò gli studi di chimica con l'amico Oskar Pollak, ma due settimane dopo era già iscritto a legge, dove però si annoiava a morte. Nell'estate 1902 sembrò volere studiare storia dell'arte e germanistica e pensò di lasciare Praga (tema ricorrente nella sua esistenza, peraltro compiuta quasi tutta nel centro vecchio della città) per andare a studiare a Monaco.
Forse il padre non gli diede il denaro necessario: sta di fatto che Kafka rimase a Praga e riprese gli studi di legge, che gli sembravano un'inutile tortura, dannosa anche alla sua costituzione gracile (nel luglio 1905 Kafka fu ricoverato per la prima volta in un sanatorio). Dovette poi preparare la tesi di laurea con Alfred Weber, professore di economia, una materia che nell'ordinamento austriaco era compresa nella facoltà di giurisprudenza. Si laureò il 28 giugno 1906 con tre voti su cinque.
Forse il padre non gli diede il denaro necessario: sta di fatto che Kafka rimase a Praga e riprese gli studi di legge, che gli sembravano un'inutile tortura, dannosa anche alla sua costituzione gracile (nel luglio 1905 Kafka fu ricoverato per la prima volta in un sanatorio). Dovette poi preparare la tesi di laurea con Alfred Weber, professore di economia, una materia che nell'ordinamento austriaco era compresa nella facoltà di giurisprudenza. Si laureò il 28 giugno 1906 con tre voti su cinque.
Come era stato indeciso sugli studi da intraprendere, così ora il giovane laureato non sapeva che professione esercitare. Voleva insieme l'indipendenza dal padre e tempo libero per scrivere. Già prima di laurearsi, tuttavia, era entrato come praticante nello studio dell'avv. Löwy, pur dichiarandogli di non pensare alla libera professione. Nell'ottobre, dopo la laurea e la vacanza, iniziò l'anno di pratica legale presso il tribunale, obbligatoria per chi aspirava a un impiego nell'amministrazione statale. Intanto, dicono le testimonianze dei suoi amici, sognava di studiare commercio a Vienna o di emigrare nell'America del Sud. Ma contemporaneamente, il padre aveva messo in moto un complicato giro di raccomandazioni, che portò Kafka a entrare in un impiego privato, pochi giorni dopo la fine del suo anno di pratica, terminato il 1° ottobre 1907.
Le raccomandazioni non sono soltanto un vizio italiano e quelle di Kafka furono addirittura internazionali. Un fratello della madre, Alfred Löwy, era emigrato a Madrid dove aveva fatto carriera, fino a diventare direttore generale delle Ferrovie spagnole. Lo zio Alfred aveva parlato di Franz all'amico Weissberger, rappresentante a Madrid delle Assicurazioni Generali di Trieste. Weissberger ne scrisse al padre, che era vice console degli Stati Uniti a Praga. Così, con la presentazione del vice console Weissberger, il giovane dottor Kafka presentò all'agenzia praghese della società di assicurazioni, la maggiore dell'impero austro-ungarico, il seguente curriculum, datato 2 ottobre 1907:
"Sono nato il 3 luglio 1883 a Praga; ho frequentato fino alla quarta classe le scuole popolari della città vecchia; sono entrato poi nel ginnasio tedesco di Stato della città vecchia; a 18 anni cominciai gli studi nell'Università tedesca 'Carlo Ferdinando' di Praga. Dopo aver dato l'ultimo esame di Stato, il 1° aprile 1906 entrai come praticante nello studio dell'avv. Löwy, sull'Aldtstädter Ring. In giugno diedi l'esame storico e nello stesso mese ottenni la laurea in legge. Come avevo subito chiarito all'avvocato, ero entrato nel suo studio solamente allo scopo d'impiegare il mio tempo, perché già in principio non era mia intenzione di rimanere nell'avvocatura. Il 1° ottobre iniziai la pratica giudiziaria, che terminai il 1° ottobre 1907".
Nel questionario che la società di assicurazioni gli fece compilare, Kafka dichiarò di conoscere, oltre il tedesco, anche il céco, il francese e l'inglese ma, confessava, "in queste ultime due lingue sono fuori d'esercizio", e affermava di conoscere la stenografia tedesca. Per la verità, la sua reale padronanza del céco è alquanto controversa; mentre non ci sono dubbi sulla stenografia tedesca, dal momento che molte delle sue carte d'ufficio sono costituite da stenogrammi.
Sottoposto alla visita sanitaria, Kafka fu trovato dal medico "incondizionatamente idoneo" a prendere servizio. Non aveva tracce di nessuna malattia infantile o adulta, salvo residui di rachitismo giovanile; la sua corporatura era slanciata (altezza m. 1,81) ma gracile; nel complesso, "un uomo delicato, ma sano".
A questo punto, la spinta ispano-céca-americana, che accompagnava il curriculum e la domanda d'assunzione, funzionò: Kafka, ventiquattrenne, entrò nell'agenzia praghese della compagnia assicuratrice, con la qualifica di assistente, destinato al Ramo Vita.
Il capo ufficio delle Generali di Praga era Ernesto Eisner, più vecchio di Kafka di un solo anno e, per fortuna dello scrittore, uomo colto in letteratura e parente del musicista Adolf Schreiber e dello scrittore Pavel Eisner.
Il capoufficio Eisner - racconta Max Brod - "ammirava profondamente la vita sognante e svagata del giovane Kafka e faceva con lui lunghe discussioni letterarie. Ma a Kafka non piaceva essere considerato un personaggio arretrato coi tempi, come le figure del romanziere Robert Walser cui Eisner lo paragonava, o essere lodato per l'incapacità a vivere come la gente comune. Brod ha salvato una lettera di Kafka al suo capoufficio, che illumina ciò che il giovane scrittore pensava di se stesso:
"Pensi un po' allo spettacolo visto dal cavallo che trasvola la pista, ove si potessero mantenere attenti gli occhi; lo spettacolo visto da un cavallo che salta l'ostacolo rivela l'essenza estrema, presente, verace dell'ippica. L'unità della tribuna, l'unità del pubblico vivo, quella del paesaggio là intorno, in una certa stagione, ecc…, con aggiunto l'ultimo valzer dell'orchestra, come si usa suonare ora. Se però il mio cavallo si volta e non vuol saltare e gira l'ostacolo o fugge e impazzisce sul prato, o addirittura mi butta di sella, allora, evidentemente, il panorama è più ricco. Nel pubblico si formano vuoti, c'è chi fugge e altri cade: le mani si agitano come mosse da venti contrari, una pioggia di rapide relazioni mi assale ed è possibile che alcuni spettatori se ne rendano conto e mi acclamino mentre io finisco nell'erba come un verme. Ma ciò che prova?"
Ma per altri aspetti Kafka era ancora un ragazzo e, mentre cominciava a soffrire delle costrizioni dell'impiego, sognava l'evasione e l'avventura. Pochi giorni dopo essere assunto, scriveva all'amica Hedwig:
"Ora la mia vita è in pieno disordine. Ho, è vero, un posto con un minuscolo stipendio di 80 corone e 8-9 interminabili ore di lavoro, ma le ore fuori dell'ufficio le divoro come una bestia feroce. Siccome finora non ero avvezzo a limitare la mia vita diurna a sei ore, e oltre a ciò imparo l'italiano, e voglio passare all'aperto le sere di queste così belle giornate, esco ben poco ristorato dalla stretta delle ore libere…
Lo scrittore ritratto da David Levine, famoso caricaturista |
Sono alle Assicurazioni Generali; nutro però la speranza di sedermi un giorno sulle sedie di paesi molto lontani, di guardare dalle finestre dell'ufficio su campi di canna da zucchero o cimiteri musulmani, e il ramo assicurazioni m'interessa molto, ma per il momento il mio lavoro è triste. Del lavoro non mi lagno, come della lentezza del tempo pantanoso. Infatti l'orario d'ufficio non si può suddividere, fin nell'ultima mezz'ora si sente il peso delle otto ore come nella prima. Spesso è come viaggiare in treno notte e giorno quando alla fine si diventa paurosi e non si pensa né al lavoro della locomotiva né al paesaggio ondulato o piano, ma si attribuisce ogni effetto all'orologio che si tiene sempre davanti a sé sul palmo della mano. Tutti gli uomini che hanno una professione simile sono così. Il trampolino della loro allegria è l'ultimo minuto di lavoro".
Questo è il primissimo segno della sua insofferenza al lavoro noioso, all'orario che prendeva tutti i giorni e spesso si prolungava, cosa frequente al principio del secolo, fino a tarda sera e alla domenica, "senza dar diritto a un compenso particolare", come diceva il regolamento della compagnia; inoltre le ferie erano costituite da due settimane di vacanza ogni due anni (sugli orari e le ferie biennali, oltre a testimonianze meno illustri, abbiamo anche quella di Italo Svevo, in Una Vita).
Questo è il primissimo segno della sua insofferenza al lavoro noioso, all'orario che prendeva tutti i giorni e spesso si prolungava, cosa frequente al principio del secolo, fino a tarda sera e alla domenica, "senza dar diritto a un compenso particolare", come diceva il regolamento della compagnia; inoltre le ferie erano costituite da due settimane di vacanza ogni due anni (sugli orari e le ferie biennali, oltre a testimonianze meno illustri, abbiamo anche quella di Italo Svevo, in Una Vita).
Il peso dell'orario, l'occhio fisso all'orologio, la noia, le minuzie delle pratiche alimentarono certamente la sua predisposizione al pessimismo e la sua visione della vita, dominata da autorità misteriose e sfuggenti.
Il giovane che sognava di lavorare in paesi lontani, rivisse nell'impiego gli stessi meccanismi psicologici che gli avevano rattristato gli anni di scuola. La paura che fin da piccolo aveva provato per il padre, la freddezza che aveva respirato in famiglia, si erano trasformate dapprima in sfiducia in se stesso, in paura degli esami, della "terribile conferenza dei professori", e nell'impossibilità di vedere quanto fosse apprezzato dai compagni di scuola. Ora gli accadeva la stessa cosa anche in ufficio, dove non si accorgeva di essere stimato, considerato gentile e anche simpatico.
Kafka si sentiva irrimediabilmente separato dagli altri.
Kafka si sentiva irrimediabilmente separato dagli altri.
Nei Preparativi di nozze in campagna, il racconto scritto agli inizi della sua vita di lavoro, che anticipa di cinque anni il tema della celebre Metamorfosi, lo scrittore descrive così i rapporti che s'instaurano nell'ambiente di lavoro:
"In ufficio si lavora tanto che alla fine si è troppo stanchi per godersi le ferie. Ma tutto questo lavoro non dà ancora il diritto di essere trattati con amore dagli altri, si resta sempre soli, del tutto estranei al prossimo, semplice oggetto della sua curiosità. Fino a che tu dici (si) anziché (io) la cosa può andare, puoi raccontarla come se non ti riguardasse, ma quando ti accorgi che questo (si) coinvolge anche te, ti senti letteralmente trafitto e sbigottito… Probabilmente gli altri non sono ingiusti; io però sono troppo stanco per capire tutto".
"In ufficio si lavora tanto che alla fine si è troppo stanchi per godersi le ferie. Ma tutto questo lavoro non dà ancora il diritto di essere trattati con amore dagli altri, si resta sempre soli, del tutto estranei al prossimo, semplice oggetto della sua curiosità. Fino a che tu dici (si) anziché (io) la cosa può andare, puoi raccontarla come se non ti riguardasse, ma quando ti accorgi che questo (si) coinvolge anche te, ti senti letteralmente trafitto e sbigottito… Probabilmente gli altri non sono ingiusti; io però sono troppo stanco per capire tutto".
L'insofferenza e i disturbi nervosi che ne derivavano non impedirono a Kafka di seguire, dal febbraio al maggio 1908, un corso sulle assicurazioni operaie all'Istituto tecnico commerciale di Praga, i cui insegnanti erano tutti funzionari dell'Istituto di Assicurazioni contro gli infortuni per gli operai del Regno di Boemia. L'istituto contro gli infortuni apparve a Kafka come una nuova speranza, soprattutto perché - come tutti gli impieghi statali - richiedeva soltanto sei ore giornaliere di lavoro, dalle otto alle quattordici. Ma nella vecchia Austria, della quale oggi si dice troppo bene, in una rivalutazione altrettanto mitica quanto l'antica condanna risorgimentale, gli ebrei non erano considerati cittadini eguali agli altri. L'antisemitismo era molto diffuso; e, a parte i progrom nella Polonia austriaca e nella Slovacchia, a loro era molto difficile entrare nell'amministrazione pubblica. Kafka si diede molto da fare per superare queste difficoltà: la fatica gli aveva fatto smettere di scrivere, e non resisteva più nell'impiego privato.
Un lavoro di utilità sociale - Kafka ottenne l'autorevole appoggio che gli era necessario per entrare, lui ebreo, nell'Istituto contro gli infortuni: la raccomandazione del dottor Otto Pribram, padre di un suo compagno di scuola, che era rappresentante dell'Associazione degli industriali nel consiglio d'amministrazione dell'Istituto.
Così, dieci mesi dopo l'assunzione, Kafka diede le dimissioni dalla società assicuratrice, e l'agenzia di Praga comunicò alla direzione generale: "Da qualche tempo il dottor Kafka è sofferente e molto nervoso; ci ha ora presentato un attestato medico del dottor Hann, dal quale risulta che il dottor Kafka soffre di disturbi nervosi congiunti ad una grande eccitabilità del cuore, così da rendere urgentemente necessario l'abbandono di qualsiasi genere di attività".
Dopo due sole settimane di vacanza, Franz Kafka, forte anche del suo corso sulle assicurazioni operaie, entrò nell'Istituto, ancora con la qualifica di assistente, in un momento di grandi rinnovamenti. Il nuovo direttore, Robert Marschner, stava avviando una serie di riforme per rendere più efficiente la previdenza operaia. Più volte il giovane impiegato fu inviato nella Boemia settentrionale, cioè nella più importante zona industriale dell'Impero, per fare ispezioni nelle aziende e per stabilire il loro inquadramento secondo classi di rischio.
All'inizio del 1910 Kafka fu nominato "funzionario minutante" e in breve tempo...
All'inizio del 1910 Kafka fu nominato "funzionario minutante" e in breve tempo diventò praticamente il braccio destro del direttore Marschner (nel 1913 fu nominato vice segretario, nel 1920 segretario e nel 1922 segretario superiore). Kafka si dedicò soprattutto all'esame delle proteste degli imprenditori contro la graduatoria di pericolosità assegnata alle loro aziende, allo studio delle misure da prendere per prevenire gli infortuni e alla propaganda per prevenire le disgrazie sul lavoro.
L'Istituto doveva lottare contro le resistenze delle aziende più grandi che tentavano di sottrarsi ai contributi d'obbligo, contro le associazioni industriali, oppositrici per principio dell'assicurazione obbligatoria, ma anche contro l'indifferenza dei lavoratori. Max Brod riferisce una frase molto umana, detta da Kafka a proposito degli operai infortunati: "Come sono umili! Vengono da noi a supplicare. Invece di prendere d'assalto l'Istituto e di fracassare tutto, vengono a pregare".
Kafka scrisse diversi articoli, non firmati, per propagandare sui giornali la necessità dell'assicurazione obbligatoria e delle misure per prevenire gli infortuni. E' curioso leggere, nella "Relazione annuale dell'Istituto" (dicembre 1909) un suo articolo, dove dimostrava la necessità di adottare alberi rotondi di sicurezza per le piallatrici meccaniche, al posto dei vecchi alberi quadrangolari ("Le lame dell'albero quadrangolare saldate mediante viti direttamente all'albero, fanno da 3800 a 4000 giri al minuto col taglio scoperto - scriveva fra l'altro -. I pericoli che la grande distanza fra l'albero con le lame e il piano della tavola presenta per il lavoratore, appaiono evidenti".
Kafka scrive fra l'altro: "Nel nostro primo articolo, apparso dopo il resoconto del 1909, abbiamo affermato che la causa della situazione passiva dell'Istituto di Praga fino ad oggi è da ricercare in prima linea nel fatto che, da parte degli imprenditori, non sono state sempre dichiarate all'Istituto quelle somme dei salari, alla cui dichiarazione essi sarebbero stati obbligati per legge e che proprio questa evasione è stata la causa principale dell'insufficienza dei contributi. Ci fondavamo sul fatto che, nel 1909, i contributi arretrati dell'Istituto di Praga, provenienti dagli esercizi precedenti, erano di corone 800.000 nonché sulla citazione di singoli casi di rilevante sottrazione di contributi esposti alla pagina 14 della relazione annuale del 1909".
L'articolo, lungo e sostenuto da grande competenza amministrativa e assicuratrice, continua smantellando ad una ad una le difese d'ufficio e le obiezioni, avanzate dalla rivista degli industriali. E non meraviglia che possa essere attribuito a Kafka, anche per l'eccezionale capacità analitica, per la puntigliosità e per la logica inesorabile.
Kafka metteva in questo lavoro non amato un impegno nel quale si sente la stessa moralità del suo socialismo non soltanto giovanile. A sedici anni aveva aderito ad un socialismo non marxista e umanitario, per iniziativa del compagno di liceo Rudolf Illowy. Con insolito coraggio, a scuola ostentava il garofano rosso; in una riunione dell'associazione studentesca Aldtstädter Kollegentag, quando gli altri si misero a cantare la celebre canzone nazionalista tedesca Wacht am Rhein ("Sentinella del Reno"), Kafka rimase zitto e seduto: e fu espulso dall'associazione.
Aveva poi aderito al Klub Mladych (Club dei giovani), che venne sciolto nel 1910 per le sue iniziative contro il militarismo e per le celebrazioni del quarantesimo anniversario della Comune, oltre che per la protesta contro l'esecuzione di Francisco Ferrer. Vale la pena di ricordare che, mentre l'Impero stava precipitando verso la fine, Kafka - nel marzo 1918 - scrisse un progetto per I lavoratori nullatenenti, diviso in "Diritti" e "Doveri".
L'Istituto doveva lottare contro le resistenze delle aziende più grandi che tentavano di sottrarsi ai contributi d'obbligo, contro le associazioni industriali, oppositrici per principio dell'assicurazione obbligatoria, ma anche contro l'indifferenza dei lavoratori. Max Brod riferisce una frase molto umana, detta da Kafka a proposito degli operai infortunati: "Come sono umili! Vengono da noi a supplicare. Invece di prendere d'assalto l'Istituto e di fracassare tutto, vengono a pregare".
Kafka scrisse diversi articoli, non firmati, per propagandare sui giornali la necessità dell'assicurazione obbligatoria e delle misure per prevenire gli infortuni. E' curioso leggere, nella "Relazione annuale dell'Istituto" (dicembre 1909) un suo articolo, dove dimostrava la necessità di adottare alberi rotondi di sicurezza per le piallatrici meccaniche, al posto dei vecchi alberi quadrangolari ("Le lame dell'albero quadrangolare saldate mediante viti direttamente all'albero, fanno da 3800 a 4000 giri al minuto col taglio scoperto - scriveva fra l'altro -. I pericoli che la grande distanza fra l'albero con le lame e il piano della tavola presenta per il lavoratore, appaiono evidenti".
Kafka scrive fra l'altro: "Nel nostro primo articolo, apparso dopo il resoconto del 1909, abbiamo affermato che la causa della situazione passiva dell'Istituto di Praga fino ad oggi è da ricercare in prima linea nel fatto che, da parte degli imprenditori, non sono state sempre dichiarate all'Istituto quelle somme dei salari, alla cui dichiarazione essi sarebbero stati obbligati per legge e che proprio questa evasione è stata la causa principale dell'insufficienza dei contributi. Ci fondavamo sul fatto che, nel 1909, i contributi arretrati dell'Istituto di Praga, provenienti dagli esercizi precedenti, erano di corone 800.000 nonché sulla citazione di singoli casi di rilevante sottrazione di contributi esposti alla pagina 14 della relazione annuale del 1909".
L'articolo, lungo e sostenuto da grande competenza amministrativa e assicuratrice, continua smantellando ad una ad una le difese d'ufficio e le obiezioni, avanzate dalla rivista degli industriali. E non meraviglia che possa essere attribuito a Kafka, anche per l'eccezionale capacità analitica, per la puntigliosità e per la logica inesorabile.
Kafka metteva in questo lavoro non amato un impegno nel quale si sente la stessa moralità del suo socialismo non soltanto giovanile. A sedici anni aveva aderito ad un socialismo non marxista e umanitario, per iniziativa del compagno di liceo Rudolf Illowy. Con insolito coraggio, a scuola ostentava il garofano rosso; in una riunione dell'associazione studentesca Aldtstädter Kollegentag, quando gli altri si misero a cantare la celebre canzone nazionalista tedesca Wacht am Rhein ("Sentinella del Reno"), Kafka rimase zitto e seduto: e fu espulso dall'associazione.
Aveva poi aderito al Klub Mladych (Club dei giovani), che venne sciolto nel 1910 per le sue iniziative contro il militarismo e per le celebrazioni del quarantesimo anniversario della Comune, oltre che per la protesta contro l'esecuzione di Francisco Ferrer. Vale la pena di ricordare che, mentre l'Impero stava precipitando verso la fine, Kafka - nel marzo 1918 - scrisse un progetto per I lavoratori nullatenenti, diviso in "Diritti" e "Doveri".
La doppia vita del dottor Kafka
Kafka, in realtà, conduceva una doppia vita, molto faticosa.
L'uomo faceva effetto per se stesso e, nonostante la timidezza, era considerato da persone eminenti come un essere eccezionale".
Kafka aveva odiato il padre, robusto, violento e tirannico | |||||
Ma la cordialità dell'ufficio e la stima degli intellettuali non gli bastavano. Dentro di sé Kafka aveva preso ad odiare anche il secondo impiego, come già l'incarico nelle assicurazioni private. L'orario dalle otto alle quattordici era meno ideale di quanto avesse supposto: era un uomo gracile e nervoso, che aveva bisogno dell'intero pomeriggio per rimettersi dalla fatica e per prepararsi a scrivere, dormendo dalle tre alle sette di sera; poi andava a passeggio, cenava tardi con la famiglia e si dedicava alla scrittura dalle undici alle due o alle tre del mattino (doveva scrivere di notte, oltre che per dedicare il pomeriggio al recupero delle energie spese in ufficio, anche per l'eccessiva sensibilità ai rumori). Così si aggirava i un circolo vizioso, che lo lasciava stanco già fin dal mattino, e gli faceva sentire l'impiego come una schiavitù, la vita come un conflitto fra lo scrivere e la professione, fra la vocazione e la necessità.
Nel 1915 meditò seriamente di dare le dimissioni anche dall'Istituto. Ma l'anno prima, poco dopo lo scoppio della guerra, aveva lasciato la casa paterna per far posto a una sorella e ai suoi bambini. Benché avesse abbandonato la casa paterna praticamente per forza, e avendo già passato i trent'anni, ormai non voleva più tornarci: le dimissioni lo avrebbero rimesso nella dipendenza dal padre. E non era soltanto una questione di orgoglio, legittima in un uomo di trentadue anni. E' che fin da bambino Franz aveva odiato il padre, robusto, sicuro di sé, violento, tirannico. Diventato adulto, i contrasti aumentarono e, negli anni della guerra, ci fu una specie di alleanza tra Franz e la sorella minore Ottla contro il padre, fino a che nel 1919 Kafka scrisse la celebre Lettera al padre nella quale accusa l'educazione paterna del fallimento della sua vita, della salute cagionevole, dei matrimoni mancati: "Tu possedevi per me la dote enigmatica dei tiranni, che fondano il loro diritto sulla loro persona, non sulla ragione… Dinanzi a te avevo perduto la fiducia in me stesso e l'avevo sostituita con uno sterminato senso di colpa". Non a caso, "essere accusato è già una condanna", dice uno dei personaggi kafkiani.
Nel 1915 meditò seriamente di dare le dimissioni anche dall'Istituto. Ma l'anno prima, poco dopo lo scoppio della guerra, aveva lasciato la casa paterna per far posto a una sorella e ai suoi bambini. Benché avesse abbandonato la casa paterna praticamente per forza, e avendo già passato i trent'anni, ormai non voleva più tornarci: le dimissioni lo avrebbero rimesso nella dipendenza dal padre. E non era soltanto una questione di orgoglio, legittima in un uomo di trentadue anni. E' che fin da bambino Franz aveva odiato il padre, robusto, sicuro di sé, violento, tirannico. Diventato adulto, i contrasti aumentarono e, negli anni della guerra, ci fu una specie di alleanza tra Franz e la sorella minore Ottla contro il padre, fino a che nel 1919 Kafka scrisse la celebre Lettera al padre nella quale accusa l'educazione paterna del fallimento della sua vita, della salute cagionevole, dei matrimoni mancati: "Tu possedevi per me la dote enigmatica dei tiranni, che fondano il loro diritto sulla loro persona, non sulla ragione… Dinanzi a te avevo perduto la fiducia in me stesso e l'avevo sostituita con uno sterminato senso di colpa". Non a caso, "essere accusato è già una condanna", dice uno dei personaggi kafkiani.
Quindi, di tornare in famiglia, neppure parlarne. Ma Kafka rifiutava anche quella che a lui pareva un'ignobile compromissione: il giornalismo, la critica letteraria, perché professione ed arte, per lui, dovevano restare totalmente distinte. Meglio allora continuare nell'atroce "doppia vita" dalla quale "esiste solo la via d'uscita della demenza". Dell'impiego, aveva scritto al padre: "La prestazione complessiva del mio lavoro, sia in ufficio (dove la poltroneria non dà molto nell'occhio e d'altra parte era tenuta in certi limiti dal mio timore) sia in casa, era minima: Di natura, credo di non essere affatto pigro, ma non c'era nulla da fare. Là dove vivevo, ero riprovato, giudicato, sconfitto". Queste righe si leggono con grande tristezza. Forse Kafka non si era mai accorto, in ufficio, di essere stimato e benvoluto. L'ombra del padre sanguigno, dalla cui energia temeva di essere messo sotto i piedi e ridotto in poltiglia come un insetto, si era mescolata - nel corso della sua doppia vita - con il potere impersonale dell'Istituto, con la paura di sbagliare, con i riti ripetitivi e meccanici del castello quotidiano.
La malattia e gli ultimi anni - Nell'agosto 1917 Kafka ha un attacco d'emottisi; un mese dopo, gli viene diagnosticata la tubercolosi polmonare, e lo scrittore ottiene dall'Istituto una licenza di otto mesi, che trascorre a Zürau, un villaggio dove la prediletta sorella Ottla svolgeva un lavoro agricolo nella fattoria del cognato. Al ritorno, l'ambiente dell'ufficio gli pare sempre più "assurdo" oppure, per usare un'altra sua espressione, un "covo di burocrati"; nonostante ciò, e nonostante la malattia, resiste all'Istituto per altri cinque anni, sia pure con frequenti assenze per curarsi. Fu ricoverato in un sanatorio del Tirolo, poi nei Carpazi.
Nel gennaio 1922, comincia a scrivere Il Castello, e in quello stesso anno si decide a chiedere finalmente il pensionamento anticipato per motivi di salute. Nel luglio 1923, a Berlino, conosce Dora Diamant, di vent'anni: finalmente è felice, nella sua nuova vita berlinese con una donna. Ma la fame dell'inverno 1923-24 gli dà il colpo decisivo: la tubercolosi arriva alla trachea, Max Brod e uno zio lo vanno a prendere. Kafka fa il giro di diversi sanatori viennesi, assistito da Dora e da Robert Klopstock. Muore nel sanatorio di Kierking, presso Vienna, nel giugno 1924, un mese prima di compiere i quarantun anni.
I suoi manoscritti furono salvati, in gran parte, da Max Brod; altri furono distrutti dai nazisti nel 1939. Le tre sorelle finirono uccise nei campi di sterminio: Ottla ad Auschwitz, Elli e Valli a Lodz. Brod, invece, mentre i tedeschi erano già alle porte di Praga, era riuscito a fuggire nella notte del 15 marzo 1939, dirigendosi a Costanza. E dalla Romania si rifugiò a Tel Aviv.
Link: La doppia vita del dottor Kafka