giovedì 10 novembre 2011

Epicuro: i DESIDERI

Dei desideri alcuni sono naturali e necessari, altri naturali ma non necessari, altri poi né naturali né necessari.

Epicuro
I DESIDERI NATURALI E NECESSARI:
I primi si identificano in sostanza con le necessità primarie (mangiare, bere, dormire...) e sono sempre da soddisfare, perché in caso contrario l’esistenza stessa ne sarebbe gravemente compromessa.
 
I DESIDERI NATURALI MA NON NECESSARI:
 I secondi comprendono quei piaceri che, pur risultando conformi agli istinti naturali, possono essere eliminati dall'esistenza senza che questa abbia a soffrirne: ad esempio, preferire cibi gustosi e raffinati e dormire comodamente è certo naturale, ma non è affatto necessario. In questa categoria rientra anche il sesso, che Epicuro non condanna, ma non considera necessario (salvo, evidentemente, per fini riproduttivi). I piaceri di questo tipo possono essere soddisfatti o meno, a seconda del temperamento individuale: ognuno, in questo ambito, deve essere giudice onesto di se stesso; se, ad esempio, un individuo non è in grado di dominare la gola, o i propri istinti sessuali, è meglio che si astenga da questi piaceri, perché essi sono destinati a creare in lui una forma di dipendenza: ciò significa che, il giorno in cui ne fosse privato, essi si trasformerebbero per lui in una fonte di sofferenza.
 
DESIDERI NE' NATURALI E NE' NECESSARI:
I terzi sono quelli che l'uomo comune definisce piaceri, e che invece non sono altro che falsi bisogni, generalmente indotti dalle convenzioni sociali (nòmos): potere, ricchezza, prestigio sociale, lusso, bellezza, cultura e via discorrendo; fra questi vi è pure l'amore, che, inteso come passione travolgente (èros) o sovraccaricato di valenze ideali (si pensi a Platone), è prima di tutto una menzogna (esso, infatti, non ha di reale altro che la pulsione sessuale dalla quale nasce ed in funzione della quale esiste; è in sostanza una "strategia" della materia per perpetuare se stessa mediante la riproduzione: tutto il resto deriva dall’immaginazione dell'uomo) ed è totalmente negativo per l'individuo, che avvolge in una rete inestricabile di dipendenze. Ogni forma di dipendenza significa sofferenza, se non nel presente certamente nel futuro, allorché si venga privati della fonte della nostra illusoria felicità: e l'amore, da questo punto di vista, è uno dei falsi bisogni più insidiosi, come dimostra il senso di strazio che prova l'innamorato abbandonato e l’estrema difficoltà che avverte di ritornare ad una disposizione d'animo "normale". Questa sofferenza è la prova evidente che l’amore non è fonte di felicità: infatti la vera felicità non dipende mai da qualcosa di esterno, ma sempre e soltanto dalla nostra disposizione interiore.

I piaceri di questa terza categoria sono da evitare, perché il turbamento che provocano è sempre superiore alla soddisfazione che danno; in altre parole, essi sono destinati, prima o poi, a trasformarsi in fonte di dolore.
 

 Come si può notare, si tratta di un'etica non soltanto rigorosa, ma quasi ascetica: il ritratto caricaturale degli epicurei che verrà fatto a Roma, ove essi saranno sistematicamente dipinti come gaudenti privi di ogni freno morale (si pensi alla polemica ciceroniana e all'ironica autodefinizione di Orazio come Epicuri de grege porcus), è dunque intenzionalmente deformante, e tradisce la volontà di mettere in cattiva luce la dottrina del Maestro per fini essenzialmente politici: come si vedrà, infatti, Epicuro pretende dai suoi seguaci il disimpegno politico, il che, per l'etica della classe dirigente romana, è semplicemente impensabile.

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